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sabato 1 maggio 2010

Berlusconate

"Spiegare o dimettersi": così il titolo dell'ottima analisi critica di Massimo Giannini a pagina 1 de La Repubblica del 30 aprile 2010 sulla notizia del ministro Scajola "finito nell'inchiesta sulla "cricca" del G8 a L'Aquila". Scajola è il signore che quando era ministro dell'Interno ad personam di Berlusconi II definì "rompicoglioni" il giuslavorista Biagi, già ammazzato dalle BR per avere, da vivo, insistito per avere la scorta che Scajola gli negò, facendolo ammazzare! Fu, allora, costretto alle dimissioni ma, ancora una volta ministro (attualmente dello Sviluppo Economico) è ora "chiamato a testimoniare come persona informata dei fatti" (almeno per il momento...) a causa di assegni a lui elargiti dai faccendieri (già in galera) del G8 per un ammontare di 900.000 euro elargiti in nero alle proprietarie di un appartamento acquistato a Roma vista Colosseo. Le ex proprietarie e l'autore della consegna testimoniano il fatto, ma il ministro afferma di non saperne niente e di aver pagato "regolarmente" l'abitazione con un mutuo di 600.000 euro (i 900.000 euro sono in nero, visto che la magione in quella zona vale appunto 1.500.000 euro). Berlusconi IV afferma che "tutto si risolverà in una bolla di sapone" (?) e il suo ministro ad personam straparla di "intimidazioni", di "attacco inspiegabile", di "disegno preordinato", di "oscuri manovratori", di "gogna mediatica", di "regia occulta": insomma viene (ri)sfoderata all'ennesima (stra)potenza tutta la imaginifica ma ormai ripetitiva, incredibile e stucchevole panoplia dei luoghi comuni più retrivi e insostenibili. Perchè il ministro Scajola non si limita semplicemente a giurare che la vendita è perfettamente legale e formalmente ineccepibile? Perchè non ci spiega il motivo per cui l'imprenditore Anemone (a cui, prima che finisse in galera, il ministro appaltava lavori a tutto turbogas) avrebbe dovuto contribuire con ben 900.000 euro in nero all'acquisto della casa del ministro, senza che lo stesso Scajola nulla ne sapesse? In mancanza di una smentita semplice, netta e lineare, il ministro, in uno stato civile e democratico, avrebbe dovuto sentire il dovere insopprimibile di dimettersi immediatamente. Ma chi ha appellato Biagi definendolo "rompicoglioni" dopo che era stato ammazzato dalle BR per avere richiesto una scorta che, negata dallo Scajola, gli era costata la vita, non si dimetterà mai. Non è nel suo stile e nemmeno in quello dell'Egoarca che ha ordinato al suo sottoposto di resistere ad oltranza..."Odiare i mascalzoni è cosa nobile" (Quintiliano)

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